Il Museo Ebraico di Riga- ovvero, “Nessuna cosa è illuminata”

La settimana scorsa ho intrapreso con due mie amiche  un viaggio che ha toccato Riga, Vilnius, Trakai e Kaunas. Ho colto l’occasione per visitare il Museo Ebraico di Riga, situato in un antico teatro ebraico a pochi passi dal famoso quartiere Art Nouveau. Vivendo a Varsavia, sto iniziando gradualmente a orientarmi sia nella storia della comunità ebrea polacca sia nella politica operata dalla comunità attuale per cercare di recuperare e vivificare la propria eredità. Avevo quindi diverse aspettative sul museo di Riga e speravo che mi avrebbe fatto conoscere un’altra faccia della cultura ebraica. Purtroppo, invece, il museo è stato una grossa delusione.

I materiali dell’esposizione sono raccolti in piccole teche e suddivisi per aree tematiche: lo stabilirsi dei primi ebrei in Lettonia a metà del 16 secolo, le loro attività economiche, il movimento sionista o il ruolo degli ebrei nei gruppi della resistenza contro il nazismo.           Parecchi di questi reperti sono effettivamente molto interessanti, ma la completa assenza di un qualsiasi supporto informativo impedisce di apprezzarli appieno. Questa è la principale pecca del museo: non si trova un pannello, un volantino o una qualsiasi altra fonte che ci permetta di inserire in un quadro generale ciò che stiamo guardando.L’esempio più efficace è quello della teca dedicata agli esponenti lettoni del movimento sionista: troviamo alcune loro foto ( corredate di scarne informazioni biografiche), alcuni libri, qualche altro documento. Fine. Come si sia sviluppato il sionismo in Lettonia, quale sia stato il dibattito interno alla comunità su questo argomento,quale rapporto avevano tra di loro le persone di cui stiamo guardando le foto, sono tutte cose che vengono lasciate alla nostra immaginazione.

Dopo poco, la frustrazione diventa il sentimento prevalente. E’ come sbattere ripetutamente il naso contro un vetro ( e no, non sto parlando di quello delle teche): ad ogni nuovo gruppo di materiali si riaccende la grande speranza di riuscire a imparare qualcosa sulla comunità ebraica lettone, della cui portata riusciamo vagamente a intravvedere i contorni. Ma puntualmente questa speranza naufraga miseramente. A volte si ha anche la sensazione che le teche siano state riempite in maniera  casuale, che non ci sia effettivamente un filo logico tra gli oggetti esposti l’uno accanto all’altro o che questo filo sia debolissimo. Vediamo ad esempio il primo gruppo tematico, quello dedicato allo stabilirsi in Lettonia dei primi ebrei. Per informarci su questo argomento abbiamo a nostra disposizione: una foto di una tomba ebrea a Piltene, ( dove gli ebrei poterono per la prima volta acquistare terreni e costruire sinagoghe), alcuni disegni antisemiti e alcuni documenti, rigorosamente in lettone. Viceversa, il gruppo successivo ( gli ebrei in Lettonia nel XIX secolo) è forse quello più riuscito: mettendo insieme i pezzi, ossia alcune lettere della comunità ebraica, foto di personaggi importanti della comunità e vari editti antisemiti, arriviamo a una qualche conclusione: che la comunità ebraica era ben sviluppata, aveva un ruolo economico considerevole nello sviluppo del paese, ma doveva lottare quotidianamente per non venire sopraffatta.

Piccole botteghe ebree nella località di Ludza
Piccole botteghe ebree nella località di Ludza

Irritante è il piccolo, piccolissimo spazio dato alla responsabilità dei Lettoni nell’eccidio degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale. Lituani, Lettoni,Ucraini, Estoni e Bielorussi collaborarono attivamente con i nazisti nello sterminio delle popolazioni ebree sui loro territori. E non solo: in questi paesi erano attivi gruppi autonomi , detti “partigiani” o di “autodifesa” i cui membri massacrarono centinaia di ebrei e di comunisti veri o presunti. Con l’occupazione da parte del Reich, i tedeschi dapprima sciolsero questi gruppi, poi li ricostituirono come una sorta di polizia ausiliaria che li assisteva nello sterminio degli ebrei nelle zone occupate. Anche nelle memorie di Tadeusz Pankiewicz (vedi il mio post del 27 gennaio, “The Krakow Ghetto Pharmacy”) troviamo un riferimento a queste “squadre” : parlando dell’inizio della deportazione del 28 ottobre 1942, il farmacista scrive che le forze di polizia tedesche “erano accompagnate da šauliai pesantemente armati, collaboratori Lituani e Lettoni che facevano parte delle unità tedesche e che erano particolarmente celebri per la loro crudeltà e sadismo. ” ( pg. 160). Non troviamo nessun accenno a questi fatti neppure nelle informazioni disponibili sul sito del museo.

La parte dell’esposizione dedicata al fenomeno dell’antisemitismo  è relegata in una specie di piccolo e buio corridoio che collega la seconda e la terza sala, nella quale è esposta una sfavillante mappa  che indica trionfalmente in quali località e date i Lettoni salvarono degli ebrei. Pochi puntini rossi sparsi per l’intero territorio.  La maggior parte dei pochi ebrei che poterono godere della magnanimità dei Lettoni persero comunque la vita, insieme a coloro che li avevano aiutati, grazie all’attività di collaboratori e spie. A poca distanza dalla gloriosa mappa, occhieggiano dalle loro teche alcuni rotoli della Torah e altri oggetti sacri scampati miracolosamente a un non meglio specificato pogrom.

La mappa che mostra dove avvennero i salvataggi di ebrei a opera di cittadini lettoni
La mappa che mostra dove avvennero i salvataggi di ebrei a opera di cittadini lettoni
Oggetti sacri scampati ai pogrom
Oggetti sacri scampati ai pogrom

Rimane poi il mistero dei pannelli delle stragi, così da me ribattezzati in mancanza di una qualsiasi informazione in inglese, russo o polacco che potesse permettermi di capire a cosa si riferissero. Subito prima dell’entrata nelle sale del museo, quasi sul pianerottolo, ci imbattiamo in una serie di pannelli “informativi”, con delle foto molto impressionanti e crude. Peccato che il testo sia solo in lettone, e che non venga neppure indicato se  queste foto facciano parte della collezione del museo, visto che si trovano prima del cartello che indica l’entrata.

A discolpa degli organizzatori del museo, bisogna evidenziare che hanno ricevuto pochissimo sostegno da parte dello Stato. La maggior parte dei finanziamenti per il processo di ricerca sono arrivati da associazioni culturali straniere, sopratutto da quelle americane. Questo fatto non stupisce nel contesto dell’attuale clima politico di un paese governato da una coalizione di centro-destra comprendente il partito nazionalista,  dove nel 2012 le pressioni della comunità ebraica per ottenere la restituzione di quegli edifici pubblici ( scuole, ospedali, case di cultura) che erano stati nazionalizzati  dai sovietici nel 1940, hanno  provocato un caso politico che ha portato alle dimissioni del ministro della Giustizia Gaidis Bērziņš.

Purtroppo, ora come ora il museo di Riga è pienamente godibile solo dai visitatori che hanno già una buona conoscenza della storia ebraica in Lettonia. Gli altri sono condannati a vagare nel labirinto dei frammenti di quella che un tempo era una comunità florida e multiforme.

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